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Friday, May 11, 2007

Utilità della diversificazione geografica

Le differenze nei rendimenti dei mercati azionari negli ultimi mesi sono state significative: da inizio anno, ad es, lo S&P 500 è cresciuto del 6%, il Dax tedesco del 13%, il nostro S&P Mib del 5%, mentre il Topix giapponese solo del 2,5%.

Tale andamento contraddice quella che, almeno nell’ultimo decennio, è stata la tendenza ad una certa uniformità dei rendimenti di lungo periodo (in termini statistici: bassa deviazione standard ed elevata correlazione intermarket), con conseguente minore importanza della diversificazione geografica degli investimenti (escludendo da questo ragionamento gli impatti di tipo valutario).

Malgrado la recente evoluzione dei mercati, però, in un’ottica di più ampio termine, sembra difficile ritenere che il contributo della country selection potrà assumere un’importanza preminente rispetto a quello, ad es., della sector rotation o dello stock picking. Infatti, se da un lato la crescita dei mercati azionari internazionali nel lungo periodo si continuerà a differenziare in funzione della diversa dinamica ciclica delle singole economie nazionali, nondimeno i cambiamenti strutturali intervenuti (maggior numero di aziende integrate globalmente, crescita degli investimenti cross-border, facilità di spostamento dei capitali) consentiranno di ricercare valore aggiunto più a livello di settori globali o di singola impresa piuttosto che a livello di singolo Paese.

Oltre a queste osservazioni generali, si può dimostrare che storicamente la dispersione geografica dei rendimenti - e quindi l’opportunità della diversificazione per Paese - è stata di norma legata alle aspettative di crescita degli utili societari, tipicamente su un orizzonte temporale breve (12 mesi). Periodi di elevata dispersione sono stati ad es. il 1992-93 oppure il 2002-03. Attualmente se si misura la deviazione standard dell’outlook di crescita annuale degli utili societari per i diversi Paesi, si riscontra un livello ai minimi degli ultimi 20 anni. Altro argomento, quindi, che induce a considerare più importante un approccio agli investimenti azionari internazionali di tipo bottom-up, piuttosto che top-down.

Friday, May 4, 2007

Sell in May and go away!

Uno degli autori che leggo con maggiore interesse è senz'altro Alessandro Fugnoli (presente anche su Trend Online o su Yahoo! Finanza), che - con uno stile assolutamente personale ed un'ottica alternativa rispetto a molti altri - ogni settimana cerca di esporre le proprie idee sui trend economici e finanziari in essere.
Lo seguo da molti anni, da quando era ancora in Caboto (oggi è in Abax) e riportava il suo pensiero in conference call telefonica. Oggi scrive e, come dicevo, è sempre piacevole da leggere, per avere un punto di vista autorevole e magari anche per imparare qualcosa di nuovo.

La newsletter di ieri, però, intitolata "La scelta di Gastone" mi ha particolarmente incuriosito, e non solo per il titolo: infatti riporta, fra l'altro, uno studio sulla stagionalità dei mercati azionari, con protagonisti i famosi paperi di casa Disney, e conferma, in estrema sintesi, l'antico adagio di Borsa "Sell in May and go away"!
Il problema è che questa volta i risultati numerici forniti nel report mi sono sembrati strani: dal '66 ad oggi un investimento di 100$ nell'indice S&P 500 mantenuto solamente fra maggio e ottobre si sarebbe capitalizzato fino ad un montante di 787$, mentre se mantenuto tra novembre e aprile sarebbe diventato ben 59.055$!
Ho provato quindi a replicare l'esperimento, utilizzando - al pari di Fugnoli - l'indice S&P 500 Total Return (prezzo + dividendi) che, fatto pari a 100 punti a fine aprile '66, è diventato 5.466 punti a fine aprile '07. Naturalmente nell'analisi ognuno dei due paperi investitori è rimasto fuori dal mercato per sei mesi l'anno ed è proprio quì che sta la stranezza, ovvero in quello strepitoso valore di oltre 59mila Dollari sopra indicato, oltre 10 volte in più dell'apprezzamento dell'indice.
Ecco invece i miei risultati (tutti soggetti a critica, naturalmente, e per chi volesse posso fornire il file Excel con dati e calcoli): in definitiva, pur verificando ancora una volta - se ce ne fosse stato davvero bisogno - la fondatezza dell'antico adagio di cui sopra, i montanti raggiunti sarebbero stati molto inferiori, rispettivamente 233$ e 2.350$.

Ma allora, se davvero funziona, perché questo effetto stagionale non viene adeguatamente sfruttato, fino ad essere, magari, del tutto annullato (come da teoria dei mercati efficienti)? Fra le varie possibili ragioni mi piacerebbe sottolineare quelle derivanti dalla finanza comportamentale, come ad es. il fatto che si possono sempre trovare (in qualunque mese dell'anno) dei buoni motivi per rimanere investiti e per non chiudere eventuali posizioni in perdita, o anche il fatto che la stagionalità gioca semmai in maniera contraria a livello psicologico: solitamente si è più ottimisti d'estate che d'inverno.
Ciò detto, concludo precisando che, a scanso di equivoci, non è mia intenzione invitare chi mi legge a vendere tutte le azioni in portafoglio nei prossimi giorni per ricomprarle poi fra 6 mesi, ma certo potrebbe non essere sbagliato pensare a qualche alleggerimento con le Borse che hanno realizzato un +6% solo nei primi 4 mesi dell'anno.

Saturday, April 14, 2007

La mappa del potere

Pillola rossa di Beppe Grillo del 24 marzo 2007 in tema di intrecci di poteri nelle aziende quotate alla Borsa di Milano, con particolare "riguardo" per il gruppo Telecom e con particolare "affetto" per la Consob.
7 minuti tutti da gustare!

Sunday, March 25, 2007

I primi tre mesi del 2007

Sta per chiudersi il primo trimestre del 2007 e cos'è successo in Borsa?
Poco o nulla, a giudicare dai livelli dei principali indici azionari: a Wall Street, ad es., l'S&P 500 è tornato in area 1430 da dov'era partito ad inizio anno e lo stesso può dirsi per i 41400 punti circa del nostro S&P/MIB.

Cos'è cambiato tra fine febbraio ed oggi per riassorbire i progressi fino ad allora accumulati?
Forse niente, o comunque non molto in senso negativo: gli USA decelerano più o meno come previsto (rischi dall'immobiliare, dai mutui subprime o da chissà cos'altro, ma intanto i consumatori non demordono), d'altra parte però l'Europa e l'Asia vanno anche meglio delle attese; qualche timore per l'inflazione, o perchè potrebbe rialzare la testa (USA ed Europa), o - per contro - perchè praticamente inesistente come in Giappone; restano, infine, i dubbi sulle politiche monetarie, ma non troppo dissimili da quelli che si avevano a gennaio (la Fed dovrebbe restare neutrale almeno nel primo semestre, la BCE alzerà ancora e cercherà di farlo anche la Banca del Giappone).

Insomma, il quadro macro mi sembra sostanzialmente invariato, ma le Borse sono diventate molto più nervose e volatili. Volatilità che comunque altro non è che tornata su livelli più normali (una sorta di mean reversion), dopo essere stata a lungo compressa su minimi pluriennali.
Che fare dunque? Diamo uno sguardo agli utili aziendali, che continuano a crescere ad un ritmo soddisfacente (in Europa più che negli USA, a onor del vero), ed alle valutazioni di mercato (P/E 2007 prossimi a 15x negli USA e 12x in Europa), per concludere restando fiduciosi sul fatto che i livelli degli indici azionari a fine 2007 saranno più elevati di quelli attuali.

Monday, March 19, 2007

Cina, avanti con prudenza

Il sell-off dell’azionario di fine febbraio è stato innescato da una confluenza di notizie negative relative al mercato di Borsa cinese che hanno indotto molti investitori a prendere profitto dopo 12 mesi di performance ampiamente positive. Quali sono state queste notizie? La possibile creazione di una commissione di controllo sulla Borsa, voci sull’introduzione di una tassa sui capital gain (poi smentite), nonché sulla possibilità di misure restrittive in tema di prestiti utilizzati per gli acquisti azionari.

Nelle due settimane successive si è assistito ad un buon recupero del mercato cinese, ritornato ad un passo dai precedenti massimi, ma quel rapido crollo ha riportato alla mente il rischio di una bolla speculativa o, quanto meno, di un ritorno ad una fase di volatilità molto accentuata.

Uno sguardo ai fondamentali fa ritenere come le performance della Borsa di Shanghai, sia positive che negative, siano sempre state storicamente poco correlate all’andamento macroeconomico, anche in ragione della dimensione limitata del mercato e, per altro verso, dello scarso contributo dei consumi domestici alla crescita del PIL.

Quanto alle valutazioni, i P/E correnti (41x) e prospettici (35x) appaiono piuttosto elevati rispetto a quelli di altre Borse dell'Area (ad es. per l’indice Hang Seng China della Borsa di Hong Kong sono rispettivamente 19x e 18x), ma resta il forte dubbio sull’affidabilità e la comparabilità dei dati societari.

In ottica di lungo periodo, comunque, ritengo che il mercato azionario cinese mantenga ancora un elevato appeal, sfruttabile, ad es., con l'acquisto di fondi o ETF (non mi addentrerei, invece, in singoli titoli dai nomi magari impronunciabili). Anche il fatto che le stesse autorità stiano cercando di introdurre misure regolamentari ed amministrative importanti (fra i problemi da affrontare l'eccessiva frammentazione tra Borse di Shangai, Shenzhen e Hong Kong, nonché fra segmenti di quotazione A e B) mi sembra un fattore assolutamente positivo per lo sviluppo di quello che si candida a diventare uno dei mercati a più forte sviluppo per i prossimi anni.

Dunque la view resta positiva, anche se naturalmente, nel breve termine, tali notizie potranno avere ancora un impatto negativo in termini di quotazioni e di volatilità.

Monday, March 12, 2007

Ancora presto per gli acquisti

I mercati azionari si sono stabilizzati nell'ultima settimana, ma è ancora presto per assumere che il peggio sia ormai alle spalle.
Storicamente, infatti, le correzioni sono durate per più tempo ed hanno avuto un'intensità maggiore rispetto a quanto finora ha connotato questa.
Anche da un punto di vista tecnico appare prematuro un ingresso su questi livelli.